La Spitsbergen Half Marathon di Chiara

Manca poco alla partenza

Sogno di fare questa mezza maratona dal 2019, quando Facebook me l’ha proposta quasi per caso come pubblicità.

Le gare di corsa per me sono sempre state un’occasione principalmente per viaggiare e vedere posti nuovi, ma, da quando sono entrata a far parte del G6, è cambiato lo spirito ed è uscita quella giusta determinazione che non avevo mai sospettato di avere.

La Spitsbergen Marathon (nel mio caso half marathon) si tiene nelle remote isole Svalbard (protettorato della Norvegia), l’ultimo avamposto dell’uomo prima dello sconfinato nord, dove esploratori e avventurieri nei secoli hanno affrontato il freddo, un mare spesso inospitale, montagne e ghiacciai a perdita d’occhio per superare i propri limiti e conquistare l’infinito.

La gara, l’unica gara al mondo con un servizio di polar bear patrolling, si svolge a giugno, quando si presume che il tempo sia abbastanza caldo e stabile da consentire lo svolgimento della gara.

Il 4 giugno, tuttavia, sembrava che gli elementi atmosferici si fossero messi tutti d’accordo per testare chi effettivamente avesse la voglia e la forza di chiudere la distanza.

Il percorso era già di per sè abbastanza duro, con due salite a inizio gara di circa un km ciascuna e una lunga salita finale, su strada sterrata, di quasi 3 km.

Il vento fortissimo, accompagnato da pioggia ghiacciata e temperatura che si è attestata sui 3 gradi, ha ulteriormente complicato le cose.

Pochi quelli che hanno affrontato la salita finale senza camminare almeno un po’: il vento era talmente forte che sembrava di correre da fermi.

Certo che il panorama è stato spettacolare: dopo aver lasciato il centro abitato di Longyearbyen, dal quinto km ci si inoltra in una valle morenica, cosparsa di laghi ghiacciati, dove le oche artiche la fanno da padrone. Al nono km si torna indietro verso la città, con il vento finalmente a favore che aiuta a stabilizzare il passo.

Al 17esimo km, quasi in prossimità dell’aeroporto, si infila la strada della miniera che sale ostinatamente per 2.5 km, per poi fare una brevissima discesa all’altezza del vecchio villaggio dei minatori e di nuovo risale per l’ultimo km finale.

Devo riconoscere che senza l’allenamento dei compagni del G6, che a rotazione mi hanno affiancato nel fartlek, nelle ripetute, nei lunghi domenicali, che mi hanno sopportato nei miei continui borbottii di lamentela mattutina (Francesco e Giuseppe penso abbiano sentito davvero di tutto!) e che mi hanno riempito di messaggi di incoraggiamento il giorno della gara, non penso sarei stata in grado di chiuderla.

Sono arrivata stanchissima, ma mi sono piazzata con un incredibile 31esimo posto assoluto, 7° posto femminile (la mezza è  stata chiusa da 107 donne) e 3° di categoria, quindi grandissima soddisfazione anche se non è arrivato il tempo sperato.

La maratona è invece stata vinta da un italiano, Marco Pallini, di Lucca, alla sua 11esima maratona.

L’organizzazione è stata perfetta, anche se un po’ spartana, con una serata musicale aperta a tutti i runner.

Smaltita la stanchezza, posso dire che è stata un’esperienza fantastica, sotto tutti i punti di vista.

Questa esperienza è stata la conferma di quello che diceva Bonatti: “l’avventura va sognata, va voluta, va conquistata, va fatta prima di tutto nel tuo cuore, nella tua mente. L’ultima cosa da fare è dare sostanza, dare materia all’avventura. Devi sognarla!”.

E la corsa alla fine è un’avventura lei stessa, che va sognata e conquistata. E io non voglio smettere di sognare.